Animazione Flash
Attività | Critica d'Arte

Testi critici di Lucia Bonazzi

  • articoloUna stanza tutta per sè è pubblicato in "Confini mobili. Opere di Nedda Bonini nelle stanze di casa dell'Ariosto" a cura di Angelo Andreotti, Comunicarte, Ferrara 2003
  • articoloIl mondo alla rovescia è pubblicato in "Illustratori dell'est europa dagli anni '80 al 2000", A. C. Teatrio e Città di Bolzano, 2000.
  • articoloTesto critico introduttivo in Giappone. Tradizione e innovazione, catalogo della mostra 27 giugno – 10 settembre 2009 Roma, Casa delle Letterature, a cura dell’Associazione Culturale Teatrio, Venezia

 

 

UNA STANZA TUTTA PER SE’

Entrare nel mondo di Nedda Bonini, rappresentato essenzialmente dal suo studio d’artista, costituisce un’esperienza esaltante, perché sotto o aldilà dell’apparenza dimessa e quotidiana dell’ambiente, traspare un’atmosfera alchemica, in qualche modo magica… Materiali d’ogni genere si dipanano davanti agli occhi: stoffe, polveri metalliche, acetati, fotografie, vetri, plastiche si offrono all’artista per essere riscattati dal loro status di frammento, di scarto, di anonima eccedenza.
Nedda Bonini pratica da anni una sperimentazione tecnica ed espressiva su questi materiali, che parte dall’intenzione, eminentemente femminile, di donare nuova vita e giovinezza a ciò che è sopravvissuto fortuitamente (gli scarti industriali) o che è stato conservato con parsimonia (gli avanzi di attività artigianali, legate alla moda, alle arti applicate, ecc).
Dalla consapevolezza che la parte più degna e più bella di ciascuno è quella che viene gettata, poiché ci si accorge che non rende socialmente o economicamente, poiché non ha valore immediato ed utilitaristico, scaturisce il fascino di questo gioco. Una ri-scoperta delle cose, permeata da un comportamento conoscitivo privo di pregiudizi, non alla ricerca di conferme, ma di un rapporto autentico con le parti più umili del mondo. La reintroduzione dei materiali  nel circuito vitale, il rimetterli in gioco, si avvale di un atteggiamento estetico, che consiste nel porsi di fronte alle schegge di realtà cogliendone  l’alta potenzialità di attribuzione di significato, di interpretabilità.
Il processo creativo attuato da Nedda Bonini è interessante quanto le stesse opere che ne risultano. Un’ottica antidogmatica, curiosa e rispettosa guida l’assemblaggio di elementi, la contaminazione di tecniche, a volte all’apparenza desuete, come l’incisione o il cucito, capaci di conferire nuova dignità, integrità e significato alle cose. Una conoscenza che diviene gesto, un procedimento che non è solo estetico, ma anche critico, in quanto dimostra capacità di confronto e di relazione, in grado di far tesoro persino dell’errore e della casualità. La suggestione degli errori (una foto scartata, un ritaglio imperfetto, un’improvvisazione grafica, una polvere metallica che muta colore nel tempo…) deriva proprio dalla casualità con cui essi si rivelano, con imprevedibile organicità, con forza espressiva, fino a diventare memorabile parte integrante dell’opera. Accade talvolta anche nella vita… Il caso, l’errore, la perdita, il desiderio, la progettualità, che tanta parte hanno nella vita umana, sono gli ingredienti del gioco, che a sua volta genera altri scarti, ulteriori frammenti, spunti per le emozioni innovative di domani.
Le opere di Nedda Bonini "creano" l’ambiente in cui vengono create, e trasformano l’ambiente in cui sono esposte. I libri d’artista, i monotipi, i quadri, i tessuti entrano in relazione tra loro, sfuggono alle classificazioni, ma si appellano con voce comune allo spettatore-interprete. Lo avvolgono in un’intimità fatta di oggetti quotidiani, di colori, di segni, di sensazioni tattili che diventano presto sogni, echi, messaggi… La creatività femminile ha trovato le stanze tutte per sé.

 

 

 

IL MONDO ALLA ROVESCIA

Illustratori di fiabe dalla Russia e dintorni

 

Le coordinate entro cui si pone il nostro discorso introduttivo all’illustrazione dell’Est Europeo sono tre: l’attualità, l’immaginario fiabesco e l’arte.
Descrivere unitariamente il panorama dell’illustrazione contemporanea dei Paesi ex- sovietici comporta i limiti metodologici di una generalizzazione, che evidenzia i tratti comuni di questa produzione rispetto ai caratteri nazionali, alle poetiche individuali degli artisti e alle specifiche tradizioni popolari. Una molteplicità di elementi particolarmente complessa e stratificata in questo caso, poiché si tratta di Paesi crocevia di popoli, culture, religioni diverse, in un territorio strategico per i contatti tra Oriente ed Occidente, sottoposto nel tempo al dominio politico turco, austro- ungarico, tedesco ed infine sovietico.
 Nonostante ciò, gli Stati europei orientali hanno sviluppato e mantenuto un forte immaginario etnico, a partire dal Romanticismo fino all’attuale, drammatico riaffiorare dei nazionalismi balcanici. Tale fenomeno è collegato alla difficile fase di transizione che ha visto il susseguirsi dell’unificazione della Germania, la disgregazione del Patto di Varsavia, la scomparsa dell’Unione Sovietica, la frammentazione della Jugoslavia in un momento di grave recessione economica. Il passaggio da un’economia pianificata o autogestita ad un’economia basata sul libero mercato e sulle privatizzazioni, nonché il graduale affermarsi dei principi democratici hanno messo in discussione l’identità collettiva dei popoli coinvolti, alle prese con problemi di convivenza e di rapporti con le minoranze. Questa situazione riguarda l’Europa intera, non solo perché la globalizzazione rende il mondo sempre più piccolo, nel senso che ogni azione locale provoca una serie di reazioni a catena in altri contesti, ad effetto ‘domino’, ma anche perché paesi come la Polonia, la Bulgaria, la Romania hanno avviato negoziati per aderire all’Unione Europea.
Un equilibrio storico è venuto meno, un nuovo equilibrio deve ancora assestarsi.

Nelle dinamiche in atto, la Storia, la Cultura e la Memoria collettiva spesso vengono strumentalizzate e trasformate da fattori di legittimità  a cause di conflitti. Il folklore, gli usi e costumi contadini, le tradizioni religiose, le espressioni artistiche e musicali popolari, le narrazioni arcaiche come le byline (antichi poemi eroici nazionali) rischiano di venire esaltate in funzione del nazionalismo, quando invece rivelano l’incontro di culture: illirica, greca, ebraica, rom, slava, turca, mediterranea, mitteleuropea.
Leggendo le fiabe russe e balcaniche potremmo addurre molti esempi felici di queste ricche ibridazioni, a partire dalla presenza di Diavolozoppo sia nell’omonima fiaba palermitana raccontata da I. Calvino (‘Fiabe italiane’, Torino, Einaudi, 1956) sia nella fiaba slovena Kurent compresa nella raccolta ‘Fiabe dei Balcani’ (Torino, Einaudi, 2000), a cui rimandiamo il lettore curioso che voglia cimentarsi con la scoperta di parentele ed incroci narrativi. Fiabe, canti e poemi erano anticamente raccontati in ambito aristocratico dalle njanje, le balie delle famiglie benestanti, e in ambito rurale dai lautari, suonatori nomadi con gusla (violini ad una corda), che nei cortili e nelle campagne ricordavano i protagonisti delle vicende tra turchi e cristiani, esaltandone l’onore, il senso del sacrificio, l’eroismo e il patriottismo, in una magica fusione di Storia e fantasia. Sono narrazioni costellate di zar, visìr, dervisci  (monaci musulmani), pope, zingari, sultani; presentano espressioni linguistiche, saluti, benedizioni, formule rituali rieccheggianti una convivenza fra culture che “è fruttuosa, è sonora, è fragrante quando è conflittuale, quando sembra godere di un perpetuo scambio di graffi, dispetti, molestie […] Si deride il vicino […] ma non lo si cambierebbe mai con un altro vicino, perché questo incuriosisce, appassiona, dà sapore alla monotonia della vita.” (A. Faeti, Introduzione al citato ‘Fiabe dei Balcani’).
Molte fiabe non presentano il consueto lieto fine, bensì dei finali repentini e cupi; non tralasciano particolari feroci e truculenti né suggestioni sinistre e perturbanti, tanto da gareggiare con i resoconti di cronaca nera. In questo mondo immaginario il pope viene deriso e lo zingaro non deve celare la propria diversità; ciò che è proibito nella realtà diventa possibile e non a caso in Russia la sfera fiabesca è tradizionalmente definita ‘il mondo alla rovescia’ o ‘il mondo capovolto’… Quasi una rivoluzione alternativa e pacifica.
Sebbene la contaminazione sovranazionale sia una costante delle narrazioni orali, il repertorio slavo è contraddistinto da una specifica molteplicità, da una miscela di ingredienti polivalenti così caratteristici da giustificare l’identificazione di una comune cultura formale, nella predilezione per certi motivi, nell’atmosfera simile che permea i racconti, nella ricorrenza di espressioni simboliche tipiche, ecc.

Le vicende artistiche dei Paesi dell’Est Europeo sono a tutt’oggi solo parzialmente conosciute dalla storiografia dell’arte occidentale, soprattutto a causa dell’isolazionismo culturale e dello schematismo ideologico imposti dal regime sovietico, pur con un momentaneo ‘disgelo’ tra il 1956 e il 1962. In generale gli artisti, gli scrittori, i musicisti, i registi non omologati furono emarginati, perseguitati, esclusi dai luoghi pubblici deputati alla cultura, come musei, accademie e università, costretti perciò ad allestire mostre nelle abitazioni private e negli studi, a diffondere i samizdat (riviste dissidenti clandestine), ad emigrare all’Estero. Per molto tempo sono state accessibili ai nostri studiosi soltanto le opere e i documenti degli artisti che hanno vissuto e lavorato in Germania, a Parigi o comunque in Europa Occidentale. Oggi risulta molto più agevole conoscere e valorizzare l’arte dei Paesi ex- sovietici, ad esempio le ricerche dei cosiddetti ‘non conformisti’ operanti in direzioni divergenti dal realismo ufficiale, orientate invece verso l’astrazione, il realismo fantastico, il collage surrealista, al figurazione simbolica, metafisica e religiosa.
L’alto livello qualitativo raggiunto dall’illustrazione del libro in Russia, dalla grafica in Polonia, dal cinema d’animazione in Cecoslovacchia e in Jugoslavia e in generale dalle arti visive negli Stati dell'Est oggi può essere compreso e apprezzato pienamente.
Come in Europa Occidentale, anche qui è stata l’esperienza artistica internazionale dell’Art Nouveau a stimolare e rinnovare profondamente il settore della grafica e della decorazione del libro. In Russia i due centri artistici principali erano San Pietroburgo e Mosca. Nella prima di queste città si collocava il gruppo di illustratori comprendente E. Lanceray, A. Benois, K. Somov, L. Bakst e I. Bilibin, gravitanti attorno alla rivista ‘Mir Iskusstva’ (Il Mondo dell’Arte). Questi artisti cominciarono ad interessarsi al libro per l’infanzia come opera di grafica di qualità, creando un’estetica fiabesca, idealizzata, irreale e decorativa, conosciuta e amata anche in Germania e in Francia. A Mosca prevalevano orientamenti più realistici, destinati a nuovi sviluppi. Protagonista della grafica moscovita e grande innovatore dell’arte europea fu W. Kandinskij, il quale si riallacciava come Bilibin alle tradizioni russe dei libri illustrati, dei lubok (xilografie, stampe popolari), della miniatura antica, dell’intarsio su legno, del disegno su corteccia, ma giungendo ad esiti molto differenti.
Già tra gli anni Dieci e gli anni Venti il ‘Mir Iskusstva’ risultava superato e i suoi più giovani esponenti, come Cechonin e Mitrochin, dovettero aggiornarsi in direzione delle Avanguardie suprematiste e costruttiviste . Nonostante questi illustratori avessero espresso un’estetica raffinata rivolta sostanzialmente agli adulti colti, lontana dalla realtà infantile, a loro va il merito di aver elevato la qualità grafica del libro illustrato, sottraendolo al ghetto della produzione ‘di consumo’.
Dopo il breve episodio della cooperativa editoriale ‘Segodnja’ di Pietrogrado (1918), che produsse libri per bambini con tecniche sperimentali e artigianali, l’illustrazione in Russia conobbe un periodo di forte innovazione e di splendore artistico a partire dal 1920. In questo periodo i più grandi artisti russi si misurarono con quest’arte. M. Chagall si dedicò a diversi cicli grafici, tra cui le favole di La Fontaine, per il mercante ed editore parigino A. Vollard; alla suggestiva compenetrazione tra reale e fantastico delle sue acqueforti e dei suoi guazzi si contrappose la rigorosa arte tipografica dei libri ‘Pro dva kvadrata’ (‘A proposito di due quadrati’, Vitebsk, Unovis, 1920) di L. Lisickij e ‘Cto ni stranica, to slon, to l’vica’ (‘Non c’è pagina dove non ci sia un elefante o una leonessa’, Tiflis, Zakkniga, 1928) di V. Majakovskij e K. Zdanevic.
Se a Mosca l’illustrazione del libro per ragazzi risentì molto dell’esperienza costruttivista, a Leningrado V. Lebedev, illustratore per l’editore Raduga e art director per Gosizdat, la Casa Editrice Statale, guidò una delle ricerche più interessanti della storia del libro illustrato per l’infanzia. Lebedev ed i suoi collaboratori concepirono l’illustrazione litografica come arte tout court e attraverso la semplicità e il senso di meraviglia propri dei bambini, perseguirono l’equilibrio tra elevata artisticità e piena comprensibilità dell’opera.
Negli anni Trenta la dittatura staliniana soffocò progressivamente le sperimentazioni del settore ragazzi del Gosizdat e generò un disagio profondo negli artisti e negli intellettuali, oltre che nella società tutta, non riuscendo a risolvere positivamente i rapporti tra individuo e collettività, né quelli tra cultura e istituzioni politiche.
Negli ultimi decenni il libro illustrato per l’infanzia in Russia ha visto scomparire dalle sue pagine le masse di treni, automobili, navi, macchine da lavoro, uniformi e divise e gli altri simboli della concezione razionalistica e progressista della società, simboli di una fiducia illimitata nella tecnica che oggi viene quanto meno messa in discussione. Locomotive e aerei vengono riposti come obsoleti giocattoli polverosi, addormentati nell’inquietante wunderkammern dell’illustrazione ‘Magic Shop’ di K. Chelushkin.
Al contrario, una presenza costante nell’illustrazione orientale è quella della Natura: paesaggi, atmosfere, stagioni, boschi e campagne, ma soprattutto animali, resi in modo distante tanto da una rappresentazione scientifica oggettiva, quanto da una deformazione arbitraria a scopo umoristico. L’immedesimazione nella vitalità profonda dell’animale dà luogo ad una raffigurazione ispirata ed espressiva, attestazione dell’importanza ancestrale del legame tra il mondo animale e quello umano nella cultura russa. Il genere della fiaba di animali è molto diffuso nel folklore slavo, sia nelle versioni popolari, sia nell’ambito letterario, di tradizione esopica, costituito dai racconti di A. Puškin, L. Tolstij e I. Krylov, quest’ultimo illustrato magistralmente da N. Popov. Nelle superstizioni più antiche, ad esempio, l’orso era oggetto di grande devozione, lo si riteneva ‘zietto orso’ o ‘padre orso’, in virtù di un legame di sangue. La volpe scaltra, il lupo sciocco, la rana, la gru, il gatto, il gallo, la lepre esercitano precisi ruoli in relazione ai vizi e alle virtù umane, mentre non mancano animali simbolici come il pesce e l’uccello, entrambi archetipi cristiani.
Un’altra componente dell’illustrazione orientale fortemente in evoluzione negli ultimi anni è il cromatismo. Dai contrasti di nero e colori primari, accesi e piatti, in campiture geometriche o a macchia del libro illustrato dell’Avanguardia russa si è passati ad un maggiore tonalismo, ombroso e sfumato, indizio di inquietudine e malinconia, ancora evidente nelle opere degli anni Ottanta ed oggi in via di superamento, verso molteplici ricerche materiche, timbriche, luministiche.
Se il carattere dell’illustrazione dell’Europa dell’Est sembra confermarsi più incline alla dimensione evocativa piuttosto che a quella narrativa, la tendenza alla deformazione grottesca, alla satira pessimista e al sovrannaturale demoniaco ben presente nella produzione degli anni Ottanta oggi va temperandosi nell’ironia, nella leggerezza, nel gioco, nella clownerie, nel non sense.

Oltre a quella russa, una tradizione di arte grafica tra le più illustri e molto presente in mostra è quella cecoslovacca. Le sue origini sono riconducibili al gusto figurativo della cultura popolare, profondamente radicata, viva e vitale. L’interesse per l’illustrazione del manifesto e del libro, anche in questo caso si intensifica con l’Art Nouveau, i cui massimi esponenti furono A. Mucha, F. Kupka e J. Preissler. I primi libri per l’infanzia cecoslovacchi risalgono a molto tempo prima, alla seconda metà del Settecento ed erano caratterizzati dai forti intenti moralizzanti e pedagogici dell’epoca.
Dal 1910 circa si affermò un’idea di illustrazione avente piena dignità artistica e negli anni Trenta la produzione di libri per l’infanzia raggiunse elevati livelli qualitativi, sia dal punto di vista letterario, sia da quello figurativo. Gli autori per ragazzi erano e sono considerati a pieno titolo esponenti della letteratura nazionale e le opere cecoslovacche di questo periodo dimostrano un senso partecipato dell’infanzia ed un vivo aspetto ludico.
Dopo il ristagno dei primi anni Cinquanta a causa della precettistica sovietica, gli anni Sessanta inaugurarono una stagione brillante per l’editoria per ragazzi ininterrotta fino ad oggi. Coerentemente con le esperienze degli anni Trenta, il libro illustrato delle attuali Repubblica Ceca e Slovacchia si presenta come forma autonoma di arte visiva, non puerile ed edulcorata bensì capace di rivolgersi sia agli adulti che ai bambini insieme.
L’attenzione riservata all’illustrazione, in particolare in Slovacchia, si avvale di una politica culturale mirata ed incentrata sul Dipartimento specifico all’Accademia di Arti Visive di Bratislava, sulla BIB, la mostra biennale di illustratori di tutto il mondo che a Bratislava si confrontano e si promuovono, e infine su iniziative editoriali molto sensibili alla qualità artistica delle immagini. L’illustrazione di questi Paesi verte sull’interpretazione poetica e surreale della vita, svolgendo un ruolo di tramite fra l’antico folklore locale ed il mondo contemporaneo dei libri per ragazzi. In questo modo, rispetto alla produzione occidentale più legata ai consumi di massa e alla catena multimediale, l’editoria per l’infanzia dei Paesi dell’Est punta maggiormente a mantenere vivi i valori etici ed estetici che alimentano il senso di appartenenza e di identità nelle giovani generazioni.
A ciò si aggiunge una concezione molto unitaria del libro illustrato, in cui si persegue l’armonia e l’integrazione tra testo letterario, immagine plastica, decorazione e caratteri tipografici. “Il libro è un’architettura scritta e dipinta, che insegna ai bambini come scoprire il mondo proprio attraverso il contatto con le forme ed i colori elementari. La stessa cosa vale per la singola pagina. Anch’essa come il libro è un’architettura che, insieme a tutti gli elementi che la compongono, deve essere armonicamente installata all’interno dell’architettura- libro.” Sintetizza così il concetto K. Pacovská in un’intervista su ‘L’Illustratore’ (n. 1, aprile 1997, Edizioni Teatrio, Venezia).
Un altro settore artistico determinante per la formazione degli illustratori dell’Europa Orientale è il cinema d’animazione. Nei primi anni del secondo dopoguerra a Praga si formò una vera e propria scuola nazionale di cinematografia di pupazzi animati, discendente ed erede della tradizione teatrale delle marionette boeme, risalente al Seicento. Uno dei protagonisti di quell’esperienza, J. Trnka, si dedicò sia all’illustrazione di libri per l’infanzia, sia all’animazione, elaborando una poetica basata sui due poli della favola e della satira di costume. Oggi alcuni degli artisti presenti in mostra, come l’ungherese K. Rofusz, il polacco P. Pawlak, C. Cechova e J. Palecek, entrambi originari di Praga, annoverano tra le loro esperienze professionali l’attività di scenografi o di animatori, sia per la televisione che per il teatro delle marionette. La componente teatrale e scenografica è un aspetto tradizionale dell’estetica dell’Europa dell’Est, Russia compresa, riscontrabile anche nelle illustrazioni di I. Makarevic.

Il percorso dell’illustrazione dei Paesi ex- socialisti fin qui delineato, nei limiti che l’esiguo spazio ci impone, ha condotto alla creazione di una cultura del libro per bambini come mezzo privilegiato di esercizio e di comunicazione di un’Arte elevata, ma nello stesso tempo accessibile, legata al vissuto infantile e sociale, obiettivo non sempre perseguito dall’Arte moderna occidentale.
Una delle opportunità di maggiore scambio e rinnovamento per gli illustratori dell’Est Europeo è stato il trasferimento in varie città dell’Europa Occidentale, con la conseguente possibilità di collaborare con gli editori locali. Ciò ha comportato un ampliamento dei temi, dei soggetti e dei tipi di libro da illustrare, in favore della letteratura per l’infanzia contemporanea e dei cosiddetti ‘album’ (libri di formato ampio, con grandi illustrazioni e breve testo) oltre alla sperimentazione di nuove modalità di rapporto editore- illustratore. La puntualità, l’attenzione ai dettagli, la libertà espressiva accordata agli artisti che contraddistinguono gli editori occidentali sono molto apprezzati dagli illustratori.
Oggi anche nei paesi dell’Europa Orientale gli artisti si avvalgono di una maggiore libertà di ricerca. Venute meno le censure ideologiche e non più costretti a dissociare la loro attività professionale dalla loro produzione creativa personale, gli artisti dovranno comunque fare i conti con altri limiti connessi alla logica della libera concorrenza, ad esempio la scarsità di tempo per la realizzazione delle opere e le idee degli editori sui presunti gusti del pubblico.   

Oltre all’incidenza della nuova condizione sociale dell’artista in Russia, più libera e dinamica, si pone la questione dei rapporti dell’arte dell’Europa Orientale con l’arte europea e americana contemporanea. Premessa l’impossibilità di approfondire il discorso in questa sede, è il caso di ricordare alcuni episodi salienti. Già all’inizio degli anni Sessanta gli artisti ‘non- conformisti’ sovietici si appellarono all’Astrattismo, all’Espressionismo e al Surrealismo, conosciuti grazie ad alcune esposizioni ‘sconvolgenti’ allestite a Mosca nella seconda metà degli anni Cinquanta: Picasso, il VI Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti, gli espressionisti astratti americani. Inoltre, rispetto alla Russia sovietica, le specifiche situazioni storico- politiche dei vari Paesi socialisti e il diverso grado di libertà critica degli intellettuali e degli artisti nei confronti delle istituzioni, permise in alcuni casi un dialogo più agevole con l’Occidente. Un pittore e illustratore attuale come J Palecek, negli stessi anni Sessanta reagì ai canoni della raffigurazione naturalistica per assecondare dapprima un linguaggio più astratto e più tardi elaborando una visione surreale, onirica, allusiva che finisce per riflettersi anche nella sua produzione per l’infanzia.
All’inizio degli anni Settanta la Pop Art ed il Realismo fotografico americano furono recepiti negli ambienti artistici sovietici dei ‘non- conformisti’, ma nell’ambito dell’illustrazione del libro per ragazzi ciò non si riscontra ed il divario non potrebbe essere maggiore. A fronte dell’aggressività chiassosa dell’illustrazione americana contemporanea, liberamente influenzata dalla grafica pubblicitaria, dall’estetica del videogioco, dalla computer art, l’illustrazione europea orientale appare introspettiva, dotata di una purezza originaria e tesa alla ricerca di un’autenticità fuori dal tempo.

Gli artisti dei Paesi ex- sovietici si misurano in questi anni con il problema della sincronizzazione e al tempo stesso dell’autonomia rispetto alle tendenze dell’arte occidentale. Il tema del rapporto dialettico tra origini, memoria, mito da un lato e futuro e innovazione dall’altro è una costante di tutta l’arte del Novecento. In merito a questo gli illustratori dell’Est Europeo dimostrano un’elaborazione in atto di grande spessore, insegnandoci che le culture tradizionali e le proprie radici storiche non sono un fardello da dimenticare per poter accedere alla modernità, ma valori che costituiscono le basi etiche e spirituali necessarie ad orientarsi nel mare magnum della Libertà.

 

 

 

Giappone. Tradizione e innovazione

 

Cosa hanno in comune gli illustratori giapponesi contemporanei, che vivono o lavorano tra gli Stati Uniti, l’Europa e il loro paese natale, presenti alle esposizioni internazionali, da Bratislava a  Bologna, da Londra a New York e Tokyo, e gli artisti dell’ Ukiyo-e, che oggi incarnano nell’immaginario collettivo globale l’essenza del Giappone tradizionale?
La mostra alla Casa delle Letterature di Roma mette a confronto il passato e il presente della grafica giapponese. Oggi come ieri le illustrazioni a stampa non sono semplice decorazione, ma veicolano mode, costumi, pubblicità, modelli culturali, comportamenti sociali, possono essere strumenti di memoria, suscitare passioni e sentimenti. Sono sempre frutto di un sistema complesso che coinvolge molte figure professionali, a cominciare dall’editore. L’eredità della tradizione si mimetizza nelle ricerche estetiche nutrite di computer grafica, manga e animazione, collage, pop art, per riemergere sommessamente in una predilezione per le tecniche incisorie (Tomoko Matsumoto), nell’uso di composizioni giocate su linee diagonali e tagli inconsueti (Kiuchi Tatsuro), nell’integrazione dello sfondo lasciato nudo, non trattato (Hiroyuki Nakamura), in alcune scelte tematiche, talvolta vere e proprie citazioni (Yuko Shimizu) e così via.
Con il termine Ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante) si intende la produzione artistica di pitture, stampe e libri illustrati rispondente al gusto dei cittadini borghesi di epoca Edo (1603- 1867), un lungo periodo di pace e di isolamento dal resto del mondo, ma non privo di tensioni. In origine il mondo fluttuante era un concetto buddhista, sottolineava il carattere transitorio, effimero e doloroso della condizione umana. Successivamente passò ad indicare uno stile di vita edonistico, in relazione ai divertimenti fuggevoli del teatro Kabuki, delle case di piacere, delle feste e delle gite praticati da una classe mercantile e imprenditoriale sempre più abbiente ed istruita (i chōnin, lett. cittadini), alla quale era preclusa ogni partecipazione alla vita politica, saldamente in mano al governo militare del clan Tokugawa ed alla classe dei samurai.
Le xilografie esposte, appartenenti alla prestigiosa collezione Contini, sono databili tra il 1803 e il 1860 circa, ovvero alla vigilia dell’apertura all’Occidente, a seguito dell’azione minacciosa della flotta statunitense guidata da Perry nel 1854 a Yokohama. La stagione artistica qui presentata costituisce non solo un momento altissimo dell’Ukiyo-e, ma in un certo senso anche il suo canto del cigno, perchè l’ambiente sociale a cui si rivolgeva era destinato ad una rapida scomparsa, mentre la modernizzazione, l’avvento della fotografia e le influenze occidentali avrebbero decretato il declino della xilografia.
L’incisione xilografica è un procedimento complesso, che aveva inizio con la presentazione all’editore, da parte dell’artista, di un disegno di massima da rielaborare insieme, non molto diversamente da quanto avviene oggi. In seguito l’artista forniva un disegno definitivo, dai contorni precisi, su carta sottilissima, detto hanshita-e. L’intagliatore lo incollava a faccia in giù su una tavoletta di legno di ciliegio. Gran parte della carta andava bagnata, grattata e rimossa, fino a lasciare solo i contorni del disegno. Il legno veniva intagliato in modo da risparmiare i contorni, che restavano la sola parte rilevata della matrice di base. Con essa si stampavano alcune prove in bianco e nero su carta, dette kyōgō- zuri, su cui l’artista scriveva i nomi dei colori da apporre ed eventuali effetti particolari, come lo sfumato (bokashi). Per ottenere la policromia serviva una matrice per ogni colore, quindi l’intagliatore incollava la stampa sulla tavoletta di legno ed operava come sopra, in modo da lasciare rilevate solo le parti di un certo colore, ripetendo il procedimento in base a quanti erano i colori da stampare. Infine lo stesso foglio, preparato con una sostanza detta dōsa, veniva passato, premendovi il tampone detto baren, su tutte le matrici inchiostrate ognuna con un diverso colore, a cominciare dal nero. L’editore doveva distribuire e commercializzare le stampe; egli aveva facoltà di scegliere i soggetti delle illustrazioni in base alle richieste del mercato.
La mostra presenta una distillata rosa di autori, allo scopo di sintetizzare stili, tipologie e tematiche principali della tarda produzione Ukiyo-e, attraverso alcuni suoi artisti rappresentativi. Tutte le stampe sono del formato ōban (38 x 25 cm), il più grande ed importante. Kitagawa Utamaro (1753- 1806) si distingue per la sua penetrante resa fisica e psicologica delle figure femminili, le inquadrature ravvicinate e oblique, ed il fluido linearismo, aspetti molto apprezzati da artisti europei come Degas e Toulouse Lautrec. Il trittico di Utamaro, “I sette dei della fortuna” (1803) rappresenta le popolari divinità portatrici di abbondanza e fortuna, in compagnia di giovani donne, immerse in giochi, scherzi e musiche. Hasegawa Sadanobu  (1809- 1879) è un esponente della scuola di Osaka, grande centro economico, in cui il teatro Kabuki ispirava talentuosi artisti dilettanti per xilografie lussuose ed originali. La sua stampa del 1837 raffigura una scena del dramma “Monogusa Tarō”, allusivo alle vicende storiche del casato Yoshikata. Il Kabuki era una forma tradizionale di teatro, improntata alla magniloquenza recitativa e gestuale, all’ampio uso di musiche, danze e costumi appariscenti, nella quale anche i ruoli femminili erano riservati ad attori maschi, detti onnagata. In questa xilografia infatti la donna a sinistra è interpretata dall’attore Nakamura Utaemon. Le figure sono sospese in uno spazio “vuoto”, decorato soltanto da frammenti colorati, ad imitazione della carta quadrata per scrivere poesie (shikishi). In molte opere giapponesi il vuoto prevale, inteso come silenzio, dimensione del possibile, indispensabile all’armonia. Il nudo supporto diventa parte integrante dell’immagine, contrariamente a molta parte della tradizione pittorica occidentale. Un’altra illustrazione relativa al mondo del teatro è “Ōtomo no Kuronushi” (il nome di un poeta classico giapponese) di Utagawa Kunisada (1786- 1865), appartenente ad una serie di sei xilografie eseguite tra il 1847 e il 1852, quando l’artista aveva ereditato il nome del suo maestro Toyokuni. Una dama, sontuosamente abbigliata con kimono ed ampio obi a motivi floreali, sta per recarsi ad uno spettacolo e osserva la stampa che lo raffigura, sollevata dalla sua giovane assistente. Il riferimento al poeta è in secondo piano, nel riquadro a destra. Kunisada, nonostante lo strepitoso successo di cui ha goduto in vita, è stato trascurato dalla critica occidentale novecentesca. Oggi è in atto una significativa rivalutazione del suo lavoro, che unisce un’eccezionale abilità compositiva a scelte cromatiche inusitate ed un’instancabile inventiva di motivi decorativi. Utagawa Kuniyoshi (1797- 1861) condivide con il suo collega e rivale Kunisada il nome della scuola artistica di appartenenza ed una porzione del nome del loro maestro, Toyokuni. Il trittico di Kuniyoshi è un magistrale esempio di musha- e (stampe di guerrieri), contraddistinto dal suo ricorrente tono epico, teatrale ed altisonante. La scena, che va letta da destra a sinistra, presenta il combattimento fra la semi-leggendaria guerriera Tomoe-gozen, al centro e il suo avversario Yoshimori, a destra, al cospetto dell’attendente Yamabuki. L’artificio di incorniciare la protagonista con il sole calante, la cura puntigliosa delle armature e l’energia che si sprigiona dalle pose e dai contrasti cromatici conferiscono a questa opera grande capacità di suggestione ed un forte impatto emotivo.
Di tutt’altra atmosfera le immagini di Utagawa Hiroshige (1797- 1858), la cui popolarità è legata al genere paesaggistico e naturalistico. Ammirato dagli Impressionisti e da Van Gogh in particolare, egli fu lirico interprete delle stagioni e dei fenomeni atmosferici. La sua stampa del 1857 appartiene alla serie “Cento celebri vedute di Edo”, antico nome di Tokyo e raffigura un edificio ormai scomparso della capitale. Era la replica del Sanjūsangendō di Kyoto, una lunghissima sala costellata di mille e una statua di Kannon, semi- divinità buddhista. Tanto a Kyoto, quanto a Edo, vi si svolgevano esercitazioni di tiro con l’arco. Nella veduta di Hiroshige, a-prospettica, dall’alto, con tipici andamenti lineari diagonali, le figure umane non prevaricano l’ambiente, ma sono parte di un Tutto, secondo la concezione shintoista di un’entità cosmica in cui tutte le cose, animate e inanimate, si integrano armoniosamente e con pari dignità.
Tra gli illustratori contemporanei il dialogo tra culture disparate è evidente, l’eredità del passato è velata ma presente. Le incisioni in bianco e nero di Tomoko Matsumoto, nata ad Osaka e formatasi a Londra, ritraggono il Giappone attuale con la fedeltà e l’obbiettività dell’antropologo, che è insieme dentro e fuori dal contesto. Immagini dalle inquadrature fotografiche, in cui la luce vibrante genera chiaroscuri inaspettati, estranei alla tradizione orientale, indagati in ogni sfumatura tonale quasi ad evocare il colore che non c’è. L’intimo legame della pittura nipponica con l’arte della calligrafia si conferma in alcune illustrazioni dei nostri, sotto forma di insegne, iscrizioni, pubblicità (Matsumoto) o fumetti (Shimizu). Yuko Shimizu è nata a Tokyo, ma vive e lavora a New York, molto attiva nella grafica pubblicitaria. Le sue composizioni, memori degli equilibri dinamici e della spiccata sensualità di certa produzione Ukiyo-e, esprimono con grande scioltezza ed energia disegnativa una visione ironica, spregiudicata dei miti antichi e contemporanei, siano figure come la geisha o famosi capolavori come “La grande onda” di Hokusai. Nel suo lavoro si fondono inestricabilmente suggestioni dal mondo dei manga, intesi come fumetti giapponesi, dal surrealismo illustrativo, dall’arte colta. Da Tokyo a Pasadena, California, Kiuchi Tatsuro ha compiuto il suo percorso da una formazione scientifica ad una carriera artistica, decollata con un libro illustrato per bambini dal titolo "Il seme del loto". Al di là della tecnica utilizzata, la computer graphic, in Tatsuro riaffiora l’impiego particolare che artisti giapponesi come Hokusai, Hiroshige, Ōkyo fecero talvolta della prospettiva occidentale, costruendo visioni fortemente scorciate o viceversa immagini bidimensionali e inquadrature imprevedibili. Nelle illustrazioni di questo artista, dalle tinte aspre e piatte punteggiate da texture, la quotidianità dei viaggi in aereo o in  metropolitana esprime la stessa rituale solennità di certi elementi naturali, investiti di perturbante sacralità. Hiroyuki Nakamura vive e lavora a Tokyo, il suo approccio all’illustrazione è espressivo, gestuale, all’apparenza spontaneo nell’esecuzione. Le linee modulate con vigore e sensibilità, le stesure cromatiche compatte, l’uso del nero piatto per generare contrasti e silhouette possono richiamare alcuni episodi della xilografia giapponese, interpolati ad una ricerca di sintesi affine al linguaggio degli story- boards, del fumetto, dell’animazione contemporanea. Una vita divisa tra il Giapppone, il Canada e la Gran Bretagna, Keitaro Sugihara sperimenta diverse strade creative, tra cui spicca il collage: curiose figure bidimensionali scorrono, svettano, si animano sullo sfondo neutro dell’immagine, in un dialogo di effetti materici ottenuti con carte diverse per forma, colore, consistenza, tattilità. La carta è un materiale leggero e flessibile, caro alla cultura estremo- orientale, che lo impiega nell’arte, nell’arredamento, come per le porte scorrevoli (fusuma) e in passato addirittura per le armature. Geometrie ed pattern decorativi movimentano la pagina di Sugihara, dando vita ad un mondo ludico e fantastico del tutto originale. Osamu Komatsu, vive e lavora a Tokyo, ma molto amato in Italia, è un artista difficilmente riconducibile all’universo figurativo dell’Ukiyo-e, immerso nelle atmosfere poetiche e fantastiche di sapore europeo, con uno stile pittorico e fiabesco che padroneggia chiaroscuri, prospettive e proporzioni indipendenti dalla tradizione orientale.
L’autonomia dell’immagine nella cultura giapponese si è affermata ben prima che in Europa, dato che i primi libri di sole immagini vi comparvero nel XVIII secolo e non tanto per un pubblico infantile. Questa mostra è un piccolo, ma crediamo significativo contributo alla conoscenza della figurazione nipponica antica e contemporanea, nella quale gli aspetti tradizionali e quelli innovativi, gli elementi autoctoni e quelli esterni, cinesi, coreani, tibetani o occidentali, si sono sempre intrecciati.

 

Eventi

Mostra Internazionale di Acquerelli

Kazimierz Dolny (Polonia)
Muzeum Nadwislanskie
dal 11 aprile al 14 giugno 2015

Polonia

Mostra Internazionale di Acquerelli

Verona, Sala Birolli
Via Macello 17
dal 16 al 31 maggio 2015

Verona

Conferenza

“Il Castello dei destini incrociati. Un nuovo contributo all’iconografia del Castello Estense nella produzione di William Turner”
Ferrara, Castello Estense
14 aprile 2015

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Conferenza Conferenza


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